Nagamaki
Nagamaki 長巻 | |
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Nagamaki | |
Tipo | Arma inastata Spada[1] |
Origine | Giappone |
Impiego | |
Utilizzatori | Samurai |
Produzione | |
Entrata in servizio | Periodo Kamakura |
Descrizione | |
Lunghezza | 120-210 cm |
Lama | 60-120 cm |
Tipo di lama | monofilare, con curvatura accennata |
Tipo di punta | acuminata, dalla curvatura accentuata |
Tipo di manico | lungo all'incirca quanto la lama |
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Il nagamaki (長巻, letteralmente "inastamento lungo" in lingua giapponese) è un'insolita arma inastata giapponese, a metà strada tra il falcione (naginata) e la spada (tachi), particolarmente in uso tra il XII ed il XIV secolo. Monta una pesante lama lunga 2-4 shaku (60-120 cm) su di un'impugnatura di lunghezza più o meno simile (60-90 cm).
Arma peculiarissima, il nagamaki esula dalle normali tipologie di classificazione e può essere accomunato solo allo spiedo da guerra in uso in Europa nel XV secolo.
Storia
Il nagamaki comparve durante l'Epoca Kamakura (1192–1333) e restò in uso fino all'Epoca Muromachi (1392–1573). Si ritiene che fosse l'arma prediletta da Oda Nobunaga (1534-1582) e che Uesugi Kenshin (1530-1578) avesse una propria guardia scelta di bushi armati di nagamaki[2].
Allo stato attuale della ricerca, si ritiene che il nagamaki sia stato sviluppato dagli armaioli nipponici partendo dalle lunghe spade da campo, nodachi e ōdachi, destinate a contrastare le cariche di cavalleria sempre più in uso in Giappone durante il XIV secolo[3]. Il medesimo processo evolutivo avrebbe portato anche allo sviluppo del naginata, sorta di equivalente del falcione dell'Europa medievale.
La linea e la modalità d'utilizzo del nagamaki, soprattutto nella versione a lama lunga, ricordano molto un'arma cinese, lo zhǎnmǎ dāo, sviluppato durante il regno della Dinastia Song (960-1279)[4]. Il peculiare rapporto lama-impugnatura del nagamaki, la sua natura ibrida di "spada inastata" ed il suo stretto rapporto con il naginata, arma inastata vera e propria, permettono invece di sviluppare un parallelismo con un'arma occidentale, lo spiedo da guerra, e con la sua variante inastata, il brandistocco.
Costruzione
Il nagamaki monta una lama monofilare simile a quella di un katana, lunga tra i 2 ed i 4 shaku (60-120 cm) con una lunga impugnatura (tsuka) di 2-3 shaku ricoperta di pelle e seta come gli altri tipi di spade giapponesi[5]. Nei casi in cui lo tsuka fosse privo di pelle o seta, il corpo ligneo dell'impugnatura veniva rinforzato con degli anelli di metallo.
Rispetto alle altre spade (katana, tachi, wakizashi, tantō), il nagamaki era oggetto di minori restrizioni circa misure e proporzioni delle parti: la lunghezza della lama "scoperta" (nagasa) e del codolo (nakago), tanto quanto quella della punta (kissaki) non erano quindi fisse e codificata ma soggette a variazioni. In alcuni casi un lungo codolo poteva permettere di riconfigurare la lama di un nagamaki in un'asta, facendone un massiccio naginata: il nagamaki Araki-ryū è in pratica un naginata di oltre 4 kg e 2,4 m[6].
La presenza costante dello tsuka nei nagamaki costituisce la principale differenza di quest'arma rispetto al naginata, arma la cui lama è invece inastata su di un'impugnatura di lancia vera e propria, e concorre a classificare il nagamaki nel novero delle spade giapponesi.
Altra differenza tra il naginata ed il nagamaki che concorre a classificare quest'ultimo più come spada che come arma inastata è la modalità d'utilizzo. La dove il naginata, come tutte le armi inastate vere e proprie, prevede cambi d'impugnatura onde sfruttare al meglio le possibilità di allungo e di parata offerte dall'asta, il nagamaki prevedeva da parte del bushi una presa solida e ferma in linea con quella del katana, con la mano destra sempre vicina allo tsuba (la "guardia" dell'impugnatura).
Note
- ^ Il nagamaki è una delle armi tradizionali giapponesi più atipiche e può essere, in buona sostanza, considerato un ibrido tra la spada vera e propria ed il falcione inastato.
- ^ Amdur, p. 117.
- ^ Friday, p. 88; Amdur, p. 120.
- ^ Seppur lo zhǎnmǎ dāo sia a sua volta più facilmente accostabile per forma ed utilizzo a nodachi e ōdachi o alla zanbato.
- ^ Friday, p. 88.
- ^ Amdur, p. 121.
Bibliografia
- (EN) Ellis Amdur, Old School, Essays on Japanese Martial Traditions, Edgework, 2002.
- (EN) Karl F. Friday, Samurai, Warfare and the State in Early Medieval Japan, Routledge, 2004, ISBN 0-203-39216-7.
- (EN) Roald M. Knutsen, Japanese Polearms, London, 1963.
Voci correlate
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